Depuratori d'acqua: a confronto tipi, caratteristiche e funzionamento | Altroconsumo

2022-07-23 04:19:29 By : Mr. Jason Xia

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Hai ricevuto una o più chiamate da parte di alcuni venditori di filtri per il trattamento dell’acqua di casa e adesso hai deciso di acquistarne uno. Tra addolcitori, filtri per il rubinetto e sistemi a osmosi inversa il mercato è davvero pieno di prodotti di ogni tipo. Non è detto quindi che il depuratore che ti stanno proponendo sia il sistema giusto per te. Ma prima ancora di capire quale sia l’apparecchio più adatto alle tue esigenze devi domandarti se ne hai davvero bisogno. Ti aiutiamo a capirlo.

L’acqua che arriva nelle nostre case è potabile e idonea all’uso alimentare da parte di tutti i componenti della famiglia. Alcune volte, però, a causa delle sue cattive caratteristiche organolettiche può essere poco gradevole al gusto. Da qui la decisione di acquistare prodotti per migliorare sapore e odore dell’acqua che esce dai nostri rubinetti. Ma, prima ancora di scegliere quale sistema comprare tra tutti quelli presenti sul mercato, sarebbe bene capire perché si vuole procedere al trattamento dell’acqua di casa. Ecco alcune domande che dovresti farti:

A volte per migliorare il sapore e l’odore dell’acqua del rubinetto basta farla scorrere un po' prima di utilizzarla o al massimo sono sufficienti delle caraffe filtranti. Inoltre, prima di fare un qualsiasi acquisto che vada ad agire sulle caratteristiche chimiche dell’acqua di casa sarebbe opportuno conoscere la qualità della nostra acqua. Un modo è quello di far analizzare l’acqua di casa.

Se però sei davvero convinto a installare un impianto di trattamento per l’acqua ecco una tabella con i pro e i contro dei diversi sistemi.

Se vuoi trattare solo l’acqua da bere – perché non ti piace il sapore o perché non vuoi più acquistare l’acqua in bottiglia – non è vantaggioso installare un impianto domestico. Meglio scegliere uno tra questi sistemi.

Funzionano con un sistema di filtraggio a resine e a carboni attivi. Agiscono abbastanza bene su durezza e nitrati e permettono di migliorare qualità e gusto dell’acqua da bere. Inoltre, nei nostri test (link), hanno dimostrato di poter ridurre anche la concentrazione di arsenico nell’acqua.

Trattando solo l’acqua destinata al consumo, uno dei vantaggi è che si limitano notevolmente i costi di gestione e manutenzione del sistema di trattamento. Bisogna, però, fare attenzione: le caraffe filtranti non possono “fare miracoli”. È importante quindi non sottoporre a filtrazione con caraffa un’acqua con valori di inquinanti superiori ai limiti di legge.

Sono apparecchi piuttosto compatti che si avvitano direttamente al rubinetto. La cartuccia filtrante è posta all’interno di un cilindro e viene attraversata dall’acqua ogni volta che si apre il rubinetto. La cartuccia ha una durata media di tre mesi (il tempo varia a seconda del filtro che si sceglie, quindi bisogna seguire le indicazioni del produttore) al termine dei quali è necessario sostituirla con una nuova.

I filtri per rubinetto agiscono sul sapore dell’acqua rimuovendo i composti del cloro, ma non hanno alcun effetto sulla composizione generale dell’acqua (durezza, conducibilità, nitrati, metalli…).

Questo sistema (da mettere sotto il lavello della cucina) può essere formato da un solo filtro composito, o da più filtri. In generale, un primo filtro è a maglie e serve a trattenere le particelle più grossolane (visibili a occhio nudo, tipo piccoli sassolini) come quelle che si fermano sugli aeratori quando si svita la parte terminale dei rubinetti. Un secondo filtro a carboni attivi trattiene invece il cloro e i sottoprodotti clorurati.

I filtri a carboni attivi sono costituiti da un supporto ricoperto di carbone attivo in grado di trattenere le molecole organiche più grosse, come quelle responsabili dei cattivi odori e sapori dell’acqua di rubinetto. In genere si presentano nella classica forma del filtro a cartuccia, magari in associazione con pre-filtro o post-filtro di diverso materiale. Se il problema è solo quello di rendere l’acqua di rubinetto più gradevole al gusto, spesso un buon apparecchio con filtro a carboni attivi è sufficiente.

Bisogna però fare attenzione agli aspetti microbiologici perché sui carboni attivi si può sviluppare una microflora batterica (e algale) che potrebbe rendere l’acqua non più sicura da bere. Per questo, in uscita da un apparecchio a carboni attivi è solitamente previsto un passaggio di sterilizzazione dell’acqua filtrata con una lampada a raggi U.V.

Discorso diverso va fatto se vuoi trattare tutta l’acqua di casa. In questo caso bisogna ricorre a un sistema fisso da mettere su tutto l’impianto idrico domestico per modificare l’acqua dell'intera rete domestica.

Nei depuratori d’acqua domestici che funzionano attraverso il meccanismo di osmosi inversa l’acqua viene fatta passare attraverso una o più membrane capaci di trattenere le impurità. È una tecnologia molto ben collaudata ed efficace a rimuovere quasi tutte le sostanze indesiderate dall’acqua, infatti insieme alla microfiltrazione è una tecnologia ampiamente usata anche dalle aziende alimentari. Più che per tutto l’impianto domestico, questa tecnologia viene proposta anche solo per trattare l’acqua da bere: basta mettere il dispositivo sotto al lavello della cucina.

È un processo di filtrazione su membrana che si ottiene applicando una pressione che costringe l’acqua a passare attraverso una membrana che separa la soluzione concentrata dall’acqua purificata.

Questi sistemi permettono di trattenere non solo le molecole più grosse, come quelle che danno sapore e odore all’acqua (i sottoprodotti della disinfezione con cloro), ma anche inquinanti più piccoli, come i metalli (arsenico, cromo, ferro).

La membrana osmotica è piuttosto delicata (e costosa): per questo spesso a monte della membrana stessa si trova un filtro meccanico (una rete finissima o in tessuto) che trattiene eventuali solidi sospesi nell’acqua (come ad esempio la sabbia) e uno strato di carbone attivo, che serve a bloccare le molecole ricche di cloro che potrebbero danneggiare la membrana osmotica e farle perdere efficacia filtrante.

Il sistema ad osmosi inversa, per suo principio di funzionamento, tende a rimuovere tutti i sali minerali presenti nell’acqua così da renderla priva di questi elementi. Affinché l’acqua in uscita dall’impianto a osmosi non risulti troppo impoverita di sali minerali e per evitare che la durezza scenda al di sotto del valore consigliato dalla legge, alcuni sistemi prevedono una fase finale di “aggiustamento” detta di “rimineralizzazione”. In pratica, l’acqua trattata (che è un’acqua quasi del tutto demineralizzata) viene miscelata con la normale acqua non trattata (di acquedotto), in modo che la durezza finale dell’acqua erogata non sia troppo bassa. La durezza ottimale di un’acqua trattata non dovrebbe infatti discostarsi troppo dal valore di 15°f consigliati dalla legge per le acque destinate al consumo umano.

Gli impianti a osmosi inversa sono piuttosto complessi e delicati. Oggi si trovano buoni sistemi delle dimensioni contenute per poter essere messi sotto il lavello della cucina e trattare solo l’acqua destinata agli usi alimentari. Il prezzo di un depuratore d’acqua domestico può variare sulla base di alcuni fattori che sono il modello, la dimensione, il brand, il tipo di installazione, l’assistenza fornita. Volendo individuare un range di prezzo potremmo dire che un depuratore da rubinetto ha un prezzo che oscilla tra i 80 e i 200 euro mentre quelli che richiedono l’installazione possono arrivare anche a 3.000 euro per i prodotti più innovativi e sofisticati.

Possiamo considerare dura e incrostante un'acqua che supera i 30°f. L’acqua dura non ha effetti negativi sulla salute: se risulta gradevole al gusto può essere tranquillamente consumata così com’è senza trattamenti con impianti domestici. Discorso diverso va fatto per gli elettrodomestici, la caldaia o le tubazioni dell’acqua calda dell’impianto idro-sanitario: questi apparecchi possono subire dei danni a causa delle incrostazioni di calcare che si potrebbero formare riscaldando l’acqua.

Quando il problema è la durezza, esistono diversi tipi di tecnologie per trattare l’acqua:

Questi sistemi agiscono esclusivamente sul contenuto di calcare e sul suo potere incrostante. Si installano per prevenire le incrostazioni di calcare nella rete idrica domestica, su rubinetti e sanitari, ma soprattutto per proteggere gli elettrodomestici che scaldano l’acqua e che sono più soggetti all’incrostazione di calcare (ad esempio scaldabagni e lavatrici).

Questi sistemi si installano sulla condotta principale di entrata alla rete idrica domestica (generalmente è in prossimità del contatore dell’acqua) e grazie alla resina a scambio ionico abbassano la durezza dell’acqua di tutta la casa.

Sono impianti abbastanza costosi, ingombranti e richiedono manutenzione regolare con l’aggiunta di sale per rigenerare la resina (stesso principio del sale usato nella lavastoviglie). Inoltre, se si usa l’acqua di rubinetto per usi potabili, bisogna considerare che si avrà un aumento della concentrazione di sodio: anche se generalmente si resta al di sotto dei limiti di legge per le acque destinate al consumo umano, chi deve osservare una dieta particolarmente povera di sodio potrebbe doverne tenere conto.

L’acqua da trattare passa su una resina che trattiene gli ioni calcio e li sostituisce con ioni sodio (e/o potassio). Quando la resina è satura di calcio, parte un processo di rigenerazione della resina con un lavaggio con acqua e sale, che serve a ripristinare sulla resina gli ioni sodio che verranno poi scambiati con il calcio dell’acqua. È il sistema che si usa nelle lavastoviglie. L’acqua addolcita è quindi più povera di calcio e magnesio e più ricca di sodio e potassio.

Il costo di questi sistemi parte da 375-400 euro più l’installazione, la cui complessità varia di caso in caso e soprattutto in base alle utenze idriche domestiche che vanno servite (numero di bagni e scaldabagni, elettrodomestici che usano acqua, numero di persone e consumi idrici). Indicativamente, l’installazione può costare dai 200 ai 500 euro per i casi più semplici.

Si definiscono anche sistemi elettrofisici o condizionatori elettromagnetici. Sono apparecchi piuttosto compatti, che si installano su un tratto della tubazione a monte dell’impianto che si vuole proteggere dal calcare e l’acqua di passaggio viene sottoposta a un campo magnetico (più precisamente, a successive variazioni del campo elettromagnetico) che fa sì che i cristalli di calcite (che formerebbero il calcare) si orientino in modo da non dare luogo a incrostazioni.

Uno dei vantaggi dei sistemi magnetici è quello di non agire sulla composizione chimica dell’acqua, lasciandola inalterata e agendo solo temporaneamente sullo stato fisico delle molecole di acqua. Si tratta, però, di una tecnologia con grandi margini di incertezza nell’efficacia.

I sistemi più semplici acquistabili nei negozi di fai-da-te hanno un prezzo che si aggira intorno agli 10-35 euro, mentre quelli più evoluti arrivano anche a 1.500 euro. Ma una nostra inchiesta del 2019 su alcuni di questi apparecchi ha dato risultati molto deludenti.

Vengono installati a monte dello scaldabagno o della lavatrice e sono i sistemi più economici. Agiscono solo sulla capacità incrostante dell’acqua che viene poi scaldata dall'elettrodomestico, proteggendo dalle incrostazioni lo scaldabagno e i rubinetti che ricevono l’acqua calda. Con questo tipo di installazione si evita l’aggiunta di polifosfati nell’acqua che si usa per bere e cucinare, anche se la purezza alimentare dei polifosfati usati è a prova di consumo alimentare dell’acqua. I più compatti per lavatrice partono dai 30-35 euro.

Approvato con la legge di bilancio 2021, il bonus acqua potabile è diventato operativo a giugno 2021. Il bonus prevede il riconoscimento di un credito d’imposta fino a 500 euro per l’acquisto e l'installazione di sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e addizione di anidride carbonica alimentare E290. Lo scopo è quello di ridurre l’utilizzo di bottiglie di plastica destinate alle acque per uso potabile.

Per aiutarti a decidere se trattare l’acqua del rubinetto e quale sia il sistema migliore da utilizzare, abbiamo selezionato le domande più frequenti sui dubbi che i consumatori ci hanno rivolto riguardo la qualità e salubrità dell’acqua di casa.

Purtroppo non esiste impianto che garantisca qualità potabile dell’acqua trattata in loco. Per l’uso potabile, è necessario che l’acqua sia pura e protetta in origine (es. un’acqua di sorgente che non risenta di contaminazioni ambientali temporanee o permanenti) oppure che sia trattata da un acquedotto che ne controlli regolarmente le caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche, ovvero la potabilità.

Per capire di che trattamento si può avere bisogno nel caso specifico, sarebbe utile fare un’analisi dell’acqua dell’abitazione attraverso il controllo di quasi tutti i parametri previsti dal decreto d.lgs 31/2001 che disciplina le acque destinate al consumo umano.

Se escludiamo l’uso potabile, ovvero se per il solo uso potabile si ricorre all’acqua in bottiglia, si può già pensare ad un impianto che tenga sotto controllo pochi parametri utili agli altri usi domestici dell’acqua: cucinare, lavarsi, servizi igienici, pulizie e irrigazione. In questo scenario di utilizzo, se le analisi dell’acqua non evidenziano gravi criticità (come ad esempio presenza di metalli pesanti, alta salinità, contaminazioni microbiche importanti) si può pensare ad un semplice impianto con filtri compositi per trattenere la maggior parte delle impurità inorganiche che ci possono essere e l’acqua potrebbe essere adatta agli usi domestici sopra elencati.

Preferiamo escludere l’uso potabile almeno in principio, perché i rischi di “portarsi in casa” acqua non idonea e peggiorarla con un impianto domestico dell’acqua sono molto gravi. Anche per l’acquisto di un eventuale impianto di trattamento dell’acqua, possiamo solo consigliare di rivolgersi a professionisti in loco: se il problema della scarsa qualità dell’acqua è molto diffuso, è probabile che vi siano aziende specializzate con una buona esperienza di installazioni di impianti efficienti.

Se l’acqua dell’acquedotto non presenta particolari problemi di sapore o presenza di contaminanti noti, il pacchetto base di analisi (durezza – conducibilità – nitrati) dà un’idea generale della qualità dell’acqua.

Per controllare l’efficacia di un impianto di trattamento domestico dell’acqua, ad esempio filtro composito o impianto osmosi inversa si può verificare (sull’acqua che esce dal sistema di trattamento):

No. Il più noto “vitalizzatore domestico” è il vitalizzatore Devajal che tramite l’applicazione di un piccolo apparecchio con doppia filettatura e posto tra due bottiglie crea un vortice in grado, a detta del produttore, di far “dinamizzare” l’acqua con il passaggio da una bottiglia all’altra. Questa però è una delle bufale più comuni: l’acqua revitalizzata non esiste.

Stesso discorso per il dispositivo Biovital, che attraverso un campo magnetico e una vorticazione elicoidale, trasformerebbe l’acqua di rubinetto in acqua “strutturata”, dagli innumerevoli benefici per la salute. Non esiste alcun fondamento scientifico di questi trattamenti: il movimento dell’acqua al momento della spillatura dal rubinetto non modifica le caratteristiche dell’acqua e chi commercializza questi dispositivi si prende semplicemente gioco dei propri interlocutori.

Anche in questo caso si tratta di bufale. C’è una normalissima bottiglia in vetro che, secondo quanto affermato dai produttori, ha impresso un programma vibrazionale contenente diversi tipi di informazioni che vengono trasferite all’acqua in essa contenuta. Nessun laboratorio è in grado di distinguere il campione d’acqua presente nella bottiglia da quello di acqua comune perché tutte le caratteristiche chimiche, fisiche, microbiologiche ed organolettiche rimangono assolutamente invariate.

L’acqua che esce dal rubinetto di casa può avere caratteristiche organolettiche e di composizione diverse rispetto a quelle dell’acqua distribuita dall’acquedotto. Questo dipende dalle alterazioni qualitative che possono verificarsi nelle condotte lungo il tratto che separa l’abitazione dall’impianto di potabilizzazione.

La cessione di sostanze indesiderabili da parte delle condutture rimane la causa più frequente di alterazione della qualità dell’acqua nel suo percorso lungo la rete idrica, sebbene tale fenomeno sia più rilevante nelle condotte private, interne agli edifici, che non sono di competenza del gestore dell’acquedotto bensì del responsabile dello stabile.

Il cattivo stato della rete idrica, specialmente in vecchi edifici, è un’altra possibile causa di alterazione della qualità dell’acqua. Nel caso di acque più aggressive, con bassi valori di pH, durezza e residuo fisso, queste possono corrodere i materiali con cui sono fatte le tubazioni, i raccordi e le valvole dell’impianto idrosanitario, con conseguente rilascio di metalli indesiderati (ad esempio ferro, piombo, rame, zinco, nichel pericolosi per la salute) che, talvolta, possono raggiungere concentrazioni eccedenti i limiti di legge. La contaminazione è più rilevante dopo un prolungato inutilizzo dell’acqua e quindi permanenza per lungo tempo nell’impianto idraulico (ad esempio durante la notte o quando si è in vacanza).

Nel caso, invece, di acque medio-dure e dure, con valori di durezza elevata, si possono formare nelle tubature e nelle varie parti dell’impianto idrico delle incrostazioni di calcare (dovute al deposito di carbonato di calcio); alla lunga possono causare una sensibile riduzione della portata dei rubinetti e soprattutto problemi alla caldaia e agli elettrodomestici che usano acqua riscaldata, con conseguente aumento dei consumi energetici e usura di alcune parti.

Anche i residui dei disinfettanti, utilizzati in uscita dagli impianti di potabilizzazione dell’acqua per garantirne la salubrità e sicurezza da un punto di vista microbiologico, possono determinare un peggioramento della qualità dell’acqua. Il cloro, ad esempio, reagisce con le sostanze comunemente presenti nell’acqua e può dare origine a sottoprodotti di disinfezione, come cloriti e trialometani, sostanze indesiderabili che peggiorano la qualità dell’acqua da un punto di vista organolettico (responsabili del caratteristico odore di cloro), ma anche sanitario (perché tossiche ad elevate concentrazioni).

Inoltre, la presenza di serbatoi di accumulo nei quali molto spesso l’acqua raccolta non è ben isolata dall’ambiente esterno, possono causare un peggioramento qualitativo dell’acqua se non viene eseguita un’adeguata e regolare manutenzione.

No, al contrario le acque dei vari acquedotti sono tutte diverse tra loro, con caratteristiche organolettiche e composizione chimica talvolta notevoli, come accade per le acque minerali. Anche se tutte le acque distribuite dalla rete sono rese idonee al consumo umano dai trattamenti di potabilizzazione, secondo quanto previsto dalla normativa, risultano differenti principalmente poiché derivano da fonti di approvvigionamento diverse.

Il problema più frequente è il cloro che dà un cattivo sapore e odore all’acqua. Il cloro è aggiunto dagli acquedotti quando c’è il rischio di contaminazione da batteri, per garantire salubrità e sicurezza microbiologica lungo la rete di distribuzione dell'acqua. Sgradevole, ma non dannoso, il cloro è volatile, per cui per eliminarne l’odore basta lasciare riposare l’acqua per esempio in una brocca o in una bottiglia, anche in frigorifero, prima di berla.

Il sapore amaro può invece dipendere da una presenza eccessiva di ferro e manganese: non sono sostanze tossiche, ma possono influire sul gusto dell’acqua.

Se invece l’acqua di casa è salata, può dipendere da sodio, solfati e cloruri. Il primo è un minerale utile al metabolismo la cui presenza può rappresentare un problema solo per le persone ipertese. In ogni caso, nonostante quello che la pubblicità vuole darci a intendere, non è con l’acqua che si limita l’apporto di sodio: bisogna stare attenti alla dieta.

I solfati possono avere origine naturale o derivare da scarichi industriali e urbani. Non sono tossici, al peggio possono dare irritazioni gastrointestinali. Infine i cloruri: in concentrazioni elevate possono corrodere le tubature e danno all’acqua un sapore cattivo. La presenza di tutte queste sostanze è regolamentata dalla legge con limiti di ampia garanzia.

Se l’acqua esce torbida o bianca potrebbe essere un problema di pressione del rubinetto troppo forte: lasciandola decantare in un bicchiere tornerà limpida. Il colore rossastro, invece, dipende dalla presenza di ferro e manganese (che può essere naturale o dovuta al rilascio da parte delle tubature). Questi metalli ossidandosi all’aria possono lasciare aloni giallastri sulla biancheria. Se si tratta di un problema di tubi condominiali bisogna rivolgersi all’amministratore, altrimenti alla Asl.

Il sodio è un elemento essenziale per il nostro organismo poiché svolge importanti funzioni metaboliche (ad esempio regolazione dei fluidi extracellulari, trasmissione degli impulsi nervosi, ecc.). La fonte principale di assunzione nell’organismo è attraverso la dieta (sale da cucina, salumi e formaggi ne contengono le maggiori quantità), mentre è molto ridotta con l’acqua potabile. È sufficiente mangiare un panino imbottito per ingerire una quantità di sodio equivalente a quella contenuta in una tonnellata di acqua oligominerale. L’acqua da bere quindi non può certo essere una via di eccessiva assunzione di sodio.

Nell’acqua distribuita dall’acquedotto la concentrazione massima ammissibile di sodio è fissata dalla legge in 200 mg/l; mentre per le acque minerali naturali non è fissato alcun limite e in questo caso il sodio è considerato un elemento caratterizzante per cui quelle che ne contengono oltre 200 mg/l sono definite “sodiche”. A differenza di quanto succede in molti paesi dell’Unione Europea, come Francia e Germania, nel panorama delle acque minerali naturali prodotte, imbottigliate e commercializzate in Italia quelle ad alto tenore di sodio costituiscono invece una rarità.

La maggior parte dei nitrati presenti nell’acqua deriva da attività umane. L'inquinamento da nitrati nelle falde acquifere è originato principalmente da: l’utilizzo in agricoltura di fertilizzanti di origine azotata, da deiezioni di animali provenienti dagli allevamenti zootecnici e da scarichi fognari civili e industriali. Nel panorama nazionale, la presenza di nitrati nelle acque di falda utilizzate a scopo potabile è una condizione abbastanza diffusa nelle grandi pianure coltivate e adibite a risorsa idropotabile come nel nord Italia, in particolare nella Pianura Padana, a causa dell’intensa attività agricola e zootecnica. Le acque di sorgente di montagna, invece, sono perlopiù esenti da questo tipo di inquinamento.

I nitrati sono sostanze indesiderabili in quanto possono essere dannosi alla salute umana, in particolare possono indurre:

Esistono trattamenti appositi per eliminare il nitrato dagli impianti di potabilizzazione. La concentrazione dei nitrati nelle acque destinate al consumo umano è limitata per legge a un massimo di 50 mg/l (D.lgs. 31/2001). I neonati e le donne in gravidanza sono categorie sensibili per cui si consiglia un limite più restrittivo di quello di legge (10 mg/l). È sconsigliabile bere regolarmente acque contenenti concentrazioni elevate di nitrati, sebbene entro i limiti di legge. Bisogna quindi informarsi in merito all’acqua che esce dal proprio rubinetto presso la relativa azienda acquedottistica.

Per una persona adulta l’apporto di nitrato è per circa l’80-90% dovuto al cibo ed il restante all’acqua, mentre per i neonati l’acqua rimane il principale veicolo di assunzione.

Il sapore di cloro è dovuto al processo di disinfezione dell’acqua per clorazione, ossia mediante aggiunta di disinfettanti chimici a base di cloro, come ipoclorito di sodio e biossido di cloro, i più diffusi, che consentono di mantenere un residuo di disinfettante lungo tutta la fase di distribuzione.

Il trattamento di disinfezione, sia nell’impianto di produzione sia lungo la rete di distribuzione, serve per abbattere la carica batterica nociva e garantire la perfetta igienicità dell’acqua dell’acquedotto per tutto il suo percorso, dalla centrale di pompaggio fino al rubinetto di casa; tuttavia può generare sottoprodotti tossici e altera il sapore dell'acqua.

Le acque provenienti da sorgenti e pozzi profondi della falda necessitano, in genere, di minori trattamenti di depurazione; mentre nei casi in cui l’acqua per uso potabile derivi del tutto o in parte da acque superficiali (lago, invaso artificiale o fiume), il trattamento di potabilizzazione per clorazione può essere più spinto soprattutto nel periodo estivo e conferire all’acqua depurata un forte odore e sapore di cloro, che può renderne il consumo più sgradevole. Per migliorare il gusto dell’acqua ed eliminare il sapore e odore di cloro basta un piccolo accorgimento domestico: raccogliere l’acqua in una brocca e lasciarla decantare per qualche minuto, preferibilmente in frigorifero. In questo modo il cloro, essendo un gas, evapora e l’acqua, a bassa temperatura, risulta più gradevole.

Nell’intero processo di trattamento delle acque per scopo potabile, la disinfezione è indispensabile per garantire al consumatore finale un’adeguata protezione igienico-sanitaria. L’introduzione della clorazione nei primi anni del secolo scorso, insieme ai trattamenti di filtrazione, ha ridotto drasticamente a livello mondiale la diffusione di patologie connesse all’acqua utilizzata per l’alimentazione.

I prodotti chimici a base di cloro possono reagire con la sostanza organica e inorganica naturalmente presente nell’acqua e generare dei sottoprodotti. In particolare l’uso di ipoclorito di sodio e cloro gassoso porta alla formazione di trialometani (THM), quali cloroformio, bromoformio, bromodiclorometano, clorodibromometano; mentre utilizzando biossido di cloro si formano cloriti. Per entrambi i tipi di sottoprodotti, il D.lgs 31/2001 (nell’allegato B) fissa valori limite restrittivi da rispettare, in quanto si tratta di sostanze indesiderabili che possono essere dannose per la salute.

Esistono anche trattamenti alternativi alla clorazione che prevedono, ad esempio, l’utilizzo di ozono, raggi UV o permanganato di potassio. L’ozono è un ottimo agente disinfettante e ossidante che non genera caratteristici sottoprodotti legati all’impiego di cloro, tuttavia se nell’acqua è presente bromuro, anche in tracce, si formano bromati, sostanze cancerogene. La radiazione ultravioletta è un agente fisico e non chimico, che non forma sottoprodotti e non altera le caratteristiche organolettiche dell’acqua; però, non avendo potere di copertura, non garantisce il mantenimento della salubrità dell’acqua che può ricontaminarsi, specie se deve percorre lunghi tratti di condutture. Anche il permanganato di potassio è un potente agente ossidante e disinfettante ed è utilizzato in ambito acquedottistico.

Nonostante i processi di disinfezione possano generare sostanze indesiderabili in grado di causare, a lungo termine, effetti nocivi sulla salute, l’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che non si possa correre il rischio di avere effetti ancora più gravi dovuti alla presenza di organismi patogeni nell’acqua destinata al consumo umano.

La possibile contaminazione da piombo nelle acque potabili può ricondursi solo in rari casi alla presenza di questo minerale in rocce e sedimenti a contatto con l’acquifero di origine. Più generalmente si deve a fenomeni di rilascio di piombo da materiali che costituiscono le tubazioni, la rubinetteria e/o altre componentistiche come saldature in piombo o stagno, raccordi o altri materiali presenti negli impianti di distribuzione idrici. La corrosione dei materiali contenenti piombo è favorita in presenza di acque aggressive, molto povere di sali minerali (valori bassi di pH, durezza, residuo fisso).

La presenza di piombo nelle acque destinate a consumo umano potrebbe comportare rischi per la salute, con effetti patologici anche gravi. Le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per i consumatori sono indirizzate a ridurre l'esposizione totale al piombo: tra le misure previste anche il controllo della possibile cessione dell’elemento dagli impianti di distribuzione delle acque destinate a consumo umano. In un contesto di prevenzione generale dell’esposizione al piombo l’OMS sottolinea l’importanza di “evitare l’assunzione di acqua contenente livelli di piombo superiori ai limiti di legge, soprattutto per le donne in stato di gravidanza, neonati e bambini al di sotto dei 6 anni di età”.

Nel panorama italiano il problema di riscontrare valori di piombo superiori al limite attuale di 10 µg per litro (previsto dal D.Lgs. 31/2001 e s.m.i.) può riguardare perlopiù gli edifici più vecchi, sia privati che pubblici, soprattutto in costruzioni antecedenti agli anni ‘60, generalmente ubicate in centri o quartieri storici. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, attualmente le criticità rimangono comunque sporadiche e più relative alle vecchie costruzioni, dotate ancora di tubazioni o parti dell’impianto contenenti piombo. Tuttavia mancano dati aggiornati e precisi sugli edifici italiani, in particolare privati, mentre in alcuni casi sono stati fatti lavori di adeguamento nelle strutture pubbliche.

Molti chilometri di tubature della rete acquedottistica sul territorio italiano sono ancora in eternit, ossia cemento-amianto. È lecito quindi domandarsi se questa situazione rappresenti un rischio per la salute. In realtà, allo stato attuale delle conoscenze non si hanno sufficienti evidenze scientifiche sulla pericolosità  per l’uomo relativa all’ingestione di amianto (al contrario è accertata la cancerogenicità per inalazione delle fibrille disperse nell’aria). Non si può invece escludere la possibilità che le fibrille di amianto eventualmente presenti nell’acqua del rubinetto possano disperdersi nell’aria quando l’acqua evapora e pertanto venire inalate. Per rappresentare un pericolo, però, le concentrazioni di amianto presente nell’acqua dovrebbero essere elevate.

La sua presenza nell'acqua è dovuta a corrosione di tubature in cemento-amianto, soprattutto se l'acqua è aggressiva (bassi valori di pH, residuo fisso e durezza). Non esistono limiti di legge nell'attuale normativa italiana di riferimento per le acque potabili (D.lgs. 31/2001); esistono però delle indicazioni americane dell’Agenzia di Protezione Ambientale (EPA) statunitense che fissa in 7 milioni di fibre per litro di acqua il quantitativo di rischio che potrebbe contribuire ad aumentare il livello di fondo delle fibre aerodisperse, e, quindi, il rischio legato alla possibile assunzione per via inalatoria. Dati di letteratura scientifica e di alcune ricerche condotte dall’Istituto Superiore di Sanità in diverse regioni sul nostro territorio non hanno evidenziato concentrazioni di fibre di amianto a livelli preoccupanti.

Se per le nuove strutture acquedottistiche l'utilizzo di cemento-amianto è vietato (Legge n. 257/1992), per le tubature già esistenti in eternit non vi è l’obbligo di rimozione o sostituzione. Trattandosi di tubazioni molto grandi, però, intervenire potrebbe essere anche peggio perché la rimozione dei tubi faciliterebbe rilasci di fibre di amianto nell’acqua. Sebbene l’amianto non sia un parametro che i gestori delle reti acquedottistiche sono tenuti ad analizzare e monitorare, ai sensi del DM 14/5/1996 i gestori sono comunque tenuti a valutare lo stato di conservazione dei manufatti in cemento-amianto, per decidere sull’opportunità della loro sostituzione. Infatti, vi sono degli indicatori di corrosività del cemento delle tubature che sono tenuti periodicamente sotto controllo. Inoltre, alcuni gestori delle reti acquedottistiche hanno già messo in atto dei programmi di monitoraggio amianto sulla propria rete in gestione.

La legionella è un batterio molto diffuso in sorgenti d'acqua che a volte può accumularsi anche nell'impianto idrosanitario di distribuzione dell’acqua potabile di case, ospedali o alberghi oppure in impianti di condizionamento dell'aria e nei filtri per l’umidificazione presenti nei climatizzatori, in stabilimenti termali, piscine e altro ancora.

Può provocare malattie infettive anche gravi, normalmente a carico dell'apparato respiratorio (legionellosi). La trasmissione avviene per via aerea, inalando particelle di acqua sotto forma di vapore, come può avvenire durante la doccia o in ambienti climatizzati, mentre non si trasmette bevendo acque che la contengono.

Pur non essendo indicato un limite di legge, spesso viene comunque ricercato nell’acqua potabile. La prevenzione del contagio consiste soprattutto nella corretta manutenzione di impianti idrici per l’acqua calda e dei climatizzatori. Tuttavia, se nell’acqua potabile è presente il batterio legionella è necessario mettere in atto tempestivamente interventi di bonifica per eliminarlo, prendendo le adeguate misure precauzionali.

È vero che il fosforo negli scarichi idrici va tenuto sotto controllo, ma la quantità di fosforo totale rilasciata da questi dispositivi è solo una goccia, rispetto ai grandi quantitativi di fosforo che arrivano al mare tramite gli scarichi fognari, gli scarichi industriali e anche quelli agricoli e di allevamenti.

Ogni anno in Italia 2.867 tonnellate di fosforo giungono nei fiumi e mari e il 93% provengono dai nostri scarichi fognari. I pochi mg di fosforo aggiunti da questi dispositivi all’acqua prodotta sono un contributo minimo.

Con una soluzione acquosa di polifosfati a purezza alimentare specifici per il trattamento dell’acqua potabile, non c’è da temere. I polifosfati sono usati come additivi alimentari (E452) in diversi prodotti conservati e con diverse funzioni: ci sono sospetti riguardo a possibili effetti negativi sulla salute, ma in nessun caso si parla di cancerogenicità.

Può trattarsi di materiale inerte trasportato dall’acqua o di incrostazioni di calcare. Spesso il problema dipende dalle tubature dell’edificio o dalle cisterne in cui l’acqua decanta. Far scorrere l’acqua (raccogliendola per tutti gli usi non alimentari) prima di berla e verificare la durezza con una semplice misura.

Si tratta di un timore infondato. Non esistono evidenze scientifiche che indichino una correlazione tra la formazione di calcoli e il consumo di un’acqua calcarea (ricca di calcio e magnesio) e ad elevato residuo fisso (con tanti sali minerali disciolti).  I calcoli si formano innanzitutto per una predisposizione individuale (di origine genetica o dovuta a caratteristiche personali), ma può contribuire anche lo stile di vita (ad esempio sudare molto ma bere poco, le scelte alimentari).

In generale, un’acqua calcarea o ricca di sali minerali va evitata nel caso di soggetti patologici affetti da rilevante calcolosi renale; in presenza di piccoli calcoli o renella, sono invece consigliate acque oligominerali, come sono la maggior parte delle acque potabili in Italia. Nel caso di queste patologie la cosa importante, su cui medici e scienziati sono concordi, è sicuramente bere molto e ripetutamente durante il giorno (fino a 3 litri d’acqua). Le persone sane, invece, possono bere quanta e quale acqua vogliono senza particolari controindicazioni per la salute.

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